Spingendo la notte più in là di Mario Calabresi - di Morena Scaglia

“Spingendo la notte più in là” è un libro che Mario Calabresi scrive per offrire ai lettori la sua storia e quella di altre vittime del terrorismo.
È un libro raro nel suo genere perché, racconta Calabresi, nelle librerie e, in generale, sul commercio, non esistono altro che racconti sugli anni di piombo scritti da terroristi o narrazioni di eventi storici. Egli si propone quindi, attraverso ricordi, processi, testimonianze dirette e ritagli di giornale dell’epoca, di dare suono a una campana che è stata troppo poco sentita: quella dei colpiti in prima persona dagli anni di piombo.
La maggior parte delle voci di questo libro è data dai figli dei caduti, figli che magari non hanno neanche fatto in tempo a vedere in faccia il proprio papà (come il fratello di Mario, Luigi), la propria mamma, o erano comunque troppo piccoli per poterselo ricordare.
La narrazione si apre con la morte del commissario Luigi Calabresi, il 17 Maggio del 1972.
Alle 9.15 due colpi sparati alle spalle da Ovidio Bompressi e Leonardo Marino lo freddano mentre apre la portiera della Fiat 500 blu della moglie. Da qui comincia il cammino di Mario e della sua famiglia, delle loro gioie e delle loro difficoltà, fino alla serenità offerta il 14 Maggio 2004 dal conferimento al commissario Luigi Calabresi della medaglia d’oro alla memoria.
Tra le varie storie che fanno da cornice all’autobiografia di Mario Calabresi la più toccante è quella di Francesca Marangoni, figlia del direttore sanitario del Policlinico di Milano Luigi Marangoni, ucciso sotto casa per aver testimoniato contro degli infermieri di Autonomia Operaia che staccavano le spine ai frigoriferi contenenti il sangue per le trasfusioni così che andava buttato e lo accusavano di essere servo dei padroni perché era nella commissione che autorizzava le cure termali.
Francesca Marangoni attualmente fa il medico nello stesso ospedale e nello stesso reparto del padre; sente la sua vicinanza dai racconti degli infermieri e si emoziona, ma non riesce a rispondere ai figli quando le fanno domande sull’argomento, piange guardando film dove papà e figlia ballano insieme e soffre all’idea che suo padre non abbia potuto conoscere i nipoti.
Anche Luigi Calabresi (figlio) spesso irrompe dicendo: “la differenza è qui, ricordatevelo, nostro padre il nonno non lo ha potuto fare”, “la differenza è che lui non mi ha mai tenuto in braccio” ecc... e allora interviene mamma Gemma a consolarlo. Lei, sempre pronta all'amore e alla riconciliazione (piange pensando alla figlia di uno degli assassini del marito che dovrà crescere senza padre), è sempre pronta a non far entrare briciole d'odio nei cuori dei suoi figli.
È lei che per prima ha permesso ai suoi bambini di spingere la notte un po' più in là. Ha scelto di vivere sempre nella luce, senza farsi abbattere dalle tenebre dello sconforto. Dopo qualche anno dalla morte del marito ha ripreso la sua famiglia in mano ed è ripartita, anche dopo una perdita così profonda e sfregi alla memoria del proprio caro dipinto ingiustamente come assassino.

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