La luna e i falò di Cesare Pavese - di Davide Merli

Pubblicato nel 1950, "La luna e i falò" sarà l'ultimo romanzo di Cesare Pavese. Infatti, pochi mesi dopo, il suicidio porrà fine all'irrequieta vita dell'autore.
Ed è proprio l'irrequietezza la caratteristica del romanzo, che si riscopre nelle tematiche di Pavese del ritorno alla terra natia, e della campagna.

Il racconto presenta molti tratti autobiografici e parallelismi con il protagonista, un trovatello, soprannominato da tutti Anguilla, cresciuto nelle Langhe, in un paesino vicino a Santo Stefano Belbo (dove nacque lo stesso Pavese).
Sentendosi come "sperduto", Anguilla decide di tornare nei luoghi della sua infanzia, gli stessi da cui si era distaccato negli anni prima della seconda guerra mondiale per cercare fortuna in America.

Ritroverà l'amico Nuto, di stampo socialista, che era stato un suo punto di riferimento durante la sua giovinezza, e che lo rimarrà anche al suo ritorno, in quanto l'unica persona che ritroverà.
Anguilla si immedesimerà in Cinto, un ragazzino storpio e solo, figlio del nuovo proprietario della casa di infanzia del protagonista, che gli ricorderà i suoi anni passati nelle Langhe.
Il padre di Cinto, il Valino, in preda alla rabbia causata dalla tremenda condizione economica, ucciderà sua moglie per poi dare fuoco alla residenza e impiccarsi dopo aver tentato invano di assassinare anche il figlio.
E' qui che prende senso il titolo del romanzo. Il ricordo dei falò, insieme alla posizione della luna, portava, secondo le tradizioni contadine, alla fertilità dei campi e quindi ad un richiamo alla vita, mentre ora ricorda soltanto la morte dei ricordi di Anguilla nei confronti della terra natia.
Insieme a Nuto, viene rievocato tramite molti flashback il passato del protagonista, tra cui lo sfortunato destino del vecchio padrone della residenza e delle sue tre figlie. In particolare la più piccola delle tre, Santina, costituisce uno dei pochi riferimenti alla condizione politica e bellica italiana del tempo; venne infatti uccisa dai partigiani dopo essere stata scoperta come spia dei fascisti.

"Un paese ci vuole, non fosse che per il gusto di andarsene via. Un paese vuol dire non essere soli, sapere che nella gente, nelle piante, nella terra c’è qualcosa di tuo, che anche quando non ci sei resta ad aspettarti."

Così Anguilla esprime il suo voler avere una terra da cui tornare, che lo accolga come lo aveva accolto nei sui primi anni di vita. In quanto un "bastardo", ignaro di chi siano i suoi genitori e del suo luogo di nascita, ha il bisogno di trovare un attaccamento ad un luogo che possa porre fine al suo spaesamento, in quanto sempre alla ricerca di un posto che possa dargli pace.
Purtroppo tutto ciò si concluderà con il doloroso realizzare che quel che era rimasto nei suoi ricordi è ormai scomparso per sempre, come la sua vecchia casa era scomparsa sotto le fiamme.
L'ambientazione è sovrana rispetto ai personaggi, soprattutto nel legame che questa ha con l'uomo, quel legame andato a spezzarsi terribilmente al suo ritorno.

Dopo aver affidato Cinto a Nuto, per assicurarsi che possa anche lui assicurarsi una vita dignitosa seppur fisicamente provato, Anguilla abbandonerà definitivamente Santo Stefano Bembo. Parte, come anche lo stesso Cesare Pavese, quest'ultimo però partirà per non ritornare più.

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