La luna e i falò - di Morena Scaglia

“La luna e i falò” di Cesare Pavese è diventato uno dei miei libri preferiti dall’istante in cui ho cominciato a leggerlo, per via dell’ argomento trattato e perché poche volte mi è capitato di trovare in una realtà letteraria una resa così fedele della vita reale.
Sulla copertina del mio libro in basso a sinistra c’è la scritta: “il capolavoro di Cesare Pavese” che da subito fa capire come non io sola lo giudico un libro interessante e coinvolgente, ma che anche altri critici hanno osservato l’abilità dell’autore nel raccontare, dal particolare di un’esperienza, il generale, la vita di una comunità contadina delle Langhe.
L’autore stesso, dopo la stesura di questo libro di cui dice: “… è il libro…che ho più goduto a scrivere”, non scriverà più altri romanzi, segno della sua completa soddisfazione nello stendere quest’ultimo.
Non serve aver vissuto una vita di campagna o conoscere già questa realtà per cogliere totalmente l’essenza del romanzo perché la semplicità della vita agreste conquista anche il lettore meno esperto, dal momento che il lessico utilizzato è colloquiale, quasi dialettale in certi passaggi e lo stile è chiaro, ricco di descrizioni per enumerazione e riflessioni disseminate fra le righe che non appesantiscono la narrazione.
I ricordi e le particolarità notate nel territorio sono quelle di un ragazzo che ci ha vissuto, non si perde nella vista di vasti panorami ma si concentra su dettagli del paesaggio rurale che sono propri di qualcuno che ha nel cuore ciò che vede così che, dalle piccole cose, emerge un grande amore per una vita che questo uomo ha assaggiato solo da piccolo, quando stava bracciante da Padrino in Gaminella e poi dalla Mora, ma che gli è sempre rimasta davanti, come stimolo e obiettivo anche dopo la sua partenza per l’America.
Questo libro, a partire dal racconto della giovinezza e maturità di Anguilla (il protagonista), attraverso varie ellissi sviluppa il legame tra uomo e ambiente, dimostra il rapporto di collaborazione fra la pazienza dei contadini e la produttività dei campi che quelli lavorano, il tutto legato all’osservazione quasi superstiziosa della luna (nel fare innesti, lavare le tine e tagliare gli alberi, piantare e imbottigliare) e ad antichi riti propiziatori esemplificati attraverso i falò di San Giovanni.
Pavese rende sfumature, odori e colori di un paese toccato da guerra e miseria contadina, di una vita che procede in modo ciclico, seguendo il lavoro nei campi e le allegre feste paesane in un clima che ora nasconde e ora rivela gioie e drammi quotidiani.
L’arco temporale in cui la vicenda si svolge va dalla fine del primo conflitto mondiale in poi, fino e oltre il 1945 tuttavia, nello scritto, non si ha un’ampia trattazione degli argomenti politico e bellico, che vengono qui limitati all’essenziale.
Di questi ed altri discorsi più impegnati si fa carico Nuto, l’amico d’infanzia e guida di questo viaggio, che racconta di ciò che la guerra ha portato, partigiani fucilati e ritrovamenti nelle rive, storie di cui sa molto perché non ha mai lasciato le sue valli dove ha vissuto, dapprima come clarinettista sui balli, e poi, dalla morte del padre, come falegname.
Un’ampia porzione di romanzo è dedicata alle passeggiate sue con Anguilla nei luoghi in cui trascorrevano le giornate da bambini, alla ricerca di reminiscenze e del clima di una volta, impossibile da ricreare perché sono cambiate famiglie, persone, mentalità ma che, attraverso gli oggetti e il paesaggio, sempre fisso e immobile, è possibile rievocare.
Così si apre il confronto fra la vita attuale e quella prima della fortuna in America, fra le condizioni attuali e passate, riflessioni sulla mancanza di radici del protagonista che, essendo un trovatello, non trova pace in nessun posto e sul tempo che passa, sui cambiamenti suoi e degli altri.
È il bisogno di sentirsi a casa che ha portato Anguilla a fuggire a Genova e poi, quasi per caso ed esigenza, raggiungere la California in cerca di un futuro migliore, azione che rende la sua esperienza l’emblema delle vite di tanti giovani del secolo scorso che, nell’Italia del pre-boom-economico fatta di piccole cittadine rurali, non riuscivano ad andare avanti.
Chiunque abbia avuto a che fare con questo tipo di ambiente non può che trovare fra le pagine de “La luna e i falò” un ristoro alla sua nostalgia del passato, se ne se sente la mancanza, o semplicemente una piacevole lettura che riporti la storia di uno come tanti che, dopo tempo, ritorna a casa.
Per gli abitanti delle città che non hanno sott’occhio questo tipo di vita, la fatica di prendersi cura di un orto o di una vigna, può risultare più complicato comprendere il legame affettivo che Anguilla nutre nei confronti di quella che è stata la sua casa per tanto tempo ma può far aprire gli occhi su una diversa realtà, non troppo lontana nel tempo, fatta di cooperazione con la natura, attualmente troppo spesso calpestata e sfruttata.

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